Le origini

Luigi Veronelli nacque a Milano il 2 febbraio 1926, secondogenito con il gemello Giovanni, di Adolfo, imprenditore chimico, e di Claudia Genta; primogenita, la sorella Marisa.

Nel 1948, sposò Maria Teresa Pina, bergamasca e figlia di pasticceri, con cui ebbe tre figlie: Benedetta, Chiara e Lucia.

Crebbe in famiglia benestante, con il culto della buona tavola. Proprio in casa celebrò il “battesimo enoico”; il giorno della prima comunione il padre gli concesse l’assaggio del vino con parole severe e affettuose insieme: «Il vino va bevuto con rispetto, perché dentro c’è la fatica dei contadini». Parole per lui indelebili.

Si diplomò al liceo classico; per volontà paterna si iscrisse a ingegneria chimica ed entrò in azienda; non portato, abbandonò entrambe alla morte del genitore e passò a filosofia, alla Statale di Milano, ove divenne assistente di Giovanni Emanuele Bariè, cattedra di filosofia teoretica, sino al suicidio del professore, nel 1956.

Investì buona parte dell’eredità paterna in viaggi di istruzione, Francia in primis, e nella cultura (libri antichi e incisioni).

Amava lo sport, lo sci in particolare (lo praticava e partecipò a varie edizioni dei campionati giornalistici, vincendo titoli in slalom speciale) ed era tifoso interista.

Diventa editore

Nel 1956, fondò la Veronelli Editore; eterogeneo il catalogo in forza della sua vivacissima curiosità intellettuale: filosofia, letteratura, politica, sport e gastronomia.

Pubblicò autori libertini come il Marchese de Sade, ribelli come Anatole France e anarchici come Proudhon.

Non ebbero vita facile, in particolare Storielle, racconti e raccontini, di de Sade, che subì un processo per oscenità (sia per i testi sia per i disegni di nudo di Alberto Manfredi). Veronelli fu assolto in primo grado, condannato in secondo a tre mesi di carcere, mai scontati; il libro fu sequestrato e messo al rogo, ultimo in Italia, nel cortile della Questura di Varese.

Puntò anche su tre periodici: Problemi del socialismo (linea politica di Lelio Basso), Il Pensiero (di filosofia neotrascendentale) e Il gastronomo (letteratura gastronomica).

La terza gli diede notorietà, anche per le sue nette prese di posizione:

«Solo la gente volgare giudica la gastronomia una disciplina volgare e la crede rivolta all’unica soddisfazione dell’appetito» (Il gastronomo, n.1, inverno 1956/1957).

Chiuse la casa editrice nel 1962, non redditizia e perché più attratto dal giornalismo.

Tornò editore nel 1989 – a seguito delle censure subite e della scadenza dei diritti di sue opere. Dapprima con il bimestrale Ex-Vinis, che diventò il suo diario personale, poi cataloghi, ricettari, guide e due collane letterarie: I luoghi e la memoria (sul viaggio) e I Semi (biografie di donne e uomini dediti all’agricoltura).

“Vivere è comunicare; comunicare è vivere.”

Due incontri decisivi

Gli incontri con Luigi Carnacina e Italo Pietra furono decisivi per la sua carriera.

Con il primo, maître leggendario, accrebbe le conoscenze tecniche sulla cucina, comprese le potenzialità della ristorazione e l’importanza degli abbinamenti tra piatti e vini. Scrissero insieme, lungo il loro sodalizio, opere fondamentali per la moderna codificazione della cucina italiana.

Il secondo, direttore de Il Giorno, ne intuì il talento e lo lanciò nel giornalismo.

Veronelli conquistò subito i lettori con i servizi di gola per il Giro d’Italia e proprio in redazione conobbe due colossi della scrittura, Gianni Brera e Mario Soldati.

Scrisse poi per molte testate – quotidiani e periodici – anche estere.

I vini d’Italia e Alla ricerca dei cibi perduti

Da scrittore esordì nel 1961 con I vini d’Italia, libro – impreziosito da testimonianze letterarie, ad esempio di Giovanni Arpino, Giorgio Caproni, Giuseppe Dessì – che rivelò tutto il valore del nostro patrimonio enologico.

Iniziò da qui il suo inesauribile impegno – mai nessuno prima di lui – per il rinascimento del vino italiano e fece leva sul concetto di «cru» (l’esaltazione della vigna, o porzione di essa, di maggior pregio) e sulle basse rese: «Piccolo il podere, minima la vigna, perfetto il vino», fu l’epigrafe dei cataloghi bolaffi.

La serie di questi ultimi e quella, non completata, delle Guide all’Italia piacevole divennero due capisaldi: della critica enoica l’una, l’altra dell’identità turistica italiana, intesa come un mosaico di fascinose diversità, non solo per cibi e vini.

Tra i suoi libri di cucina, ebbe affezione speciale per Alla ricerca dei cibi perduti – colta, singolare narrazione tra segni zodiacali e ricette «d’antan», del 1966perchè di «un Veronelli che scriveva d’impeto, raccontava le sue cose e i suoi incontri migliori», disse in un’intervista, 1999, per Rai-Sat/Gambero Rosso.

“Da ragazzo ero uno scattista, non un maratoneta.”

Reportages

Dal 1975 al 1979 diresse Vini&Liquori, rimasto nella memoria per i coraggiosi reportages su frodi e sofisticazioni. Clamoroso quello sulla Coca-Cola, nel 1977; accortosi dell’irregolarità nell’elencazione degli ingredienti sulla bottiglia, fece esposto contro la compagnia americana; lo accolse il pretore Sossi di Genova, che ordinò il sequestro della bibita per un giorno in tutt’Italia, fatto che procurò a Veronelli non pochi fastidi.

La televisione

La televisione aumentò la sua popolarità. Nel 1960 la prima esperienza, ospite nel rotocalco Personalità; pur positiva, tenne a distanza il piccolo schermo, impaurito dall’eccessiva semplificazione del linguaggio. Cedette più avanti, sulle insistenze del direttore RAI di Torino, Luciano Rispoli, che volle lui, nel 1971, per il programma pilota Colazione allo studio 7. Terminate le venti puntate, Veronelli ribaltò il pregiudizio, si rese conto della potenza comunicativa del mezzo e proseguì. Il titolo cambiò in A tavola alle 7, grandi l’ascolto e il successo, in particolare nelle edizioni con Ave Ninchi; i due – nel ruolo di massaia lei, lui di professore – formarono una delle coppie televisive più amate nella storia della televisione.

Per Rai Tre, nel 1979 realizzò con il co-autore Nichi Stefi, il Viaggio sentimentale nell’Italia dei vini, un docufilm di aggiornamento sulla viticoltura, di elogio della civiltà contadina e di denuncia delle leggi sfacciatamente pro industria; di qui, uno dei suoi più pungenti aforismi: «Il peggior vino contadino è migliore del miglior vino d’industria».

``La libertà è un bene immenso, senza libertà non si vive, si vegeta``

Gli anni ’80

Uscirono: le guide gastronomiche ai ristoranti e ai vini, che fecero scuola per l’approccio carico di «humanitas»; Il Veronelli, enciclopedia a dispense su vini e acqueviti del mondo, per volontà di completezza un notevole sforzo editoriale; I vignaioli storici, ritratti delle grandi famiglie del vino. In più, con la direzione grafica del designer Giacomo Bersanetti, L’Etichetta, «il periodico più ambizioso, lussuoso e graficamente impegnato d’Italia, vera e propria guida alla vita materiale attraverso l’incontro estetico con le “cose” – non solo gastronomiche – della vita di ogni giorno».

Nel 1986, costituì, con alcuni illustri produttori, il Seminario Permanente L.V., associazione per la cultura del vino e degli alimenti, con l’obiettivo di diffondere e promuovere la gastronomia come cultura, appunto. Ne restò presidente onorario a vita.

DE.CO. e olio d’oliva

Negli ultimi anni di vita, si fece ancora più agguerrito nella difesa delle produzioni alimentari.

Creò le De.Co. (denominazioni comunali), un’attestazione di origine rilasciata dal Sindaco su delibera dall’amministrazione comunale, osteggiatissima all’inizio, oggi riconosciute legittime.

Prese a cuore la disperazione dei tanti olivicoltori costretti a non produrre, a causa del monopolio delle multinazionali nel mercato dell’olio d’oliva; si oppose con veemenza: articoli, appelli alla politica e azioni eclatanti, come l’occupazione del porto di Monopoli.

``Guardiamoci attorno, con un minimo di senso critico e morale. Tutto, ma proprio tutto, viene attuato per renderci servi``

Figura eclettica

Fondò il Premio Letterario Internazionale Nonino-Risit d’aur; ispirò il Primo congresso mondiale degli scrittori del vino; fu consulente, tra gli altri, del Poligrafico dello Stato per due cd-rom compendio su cucina e vini, e di Alessi per linee di bicchieri.

Inventò il giornalismo enogastronomico e lo interpretò con sensibilità da precursore.

Si distinse per lo stile aulico, metaforico e provocatorio; coniò neologismi, come «vino da meditazione, acquadipiatt, giacimenti gastronomici», oppure «tutt’affatto, vaddassè, ant’anni fa».

Si interessò anche di fotografia (coinvolse nelle sue iniziative editoriali i nomi più importanti del suo tempo) e di design, stringendo importante collaborazione con Alessi e creando propri oggetti per la tavola.

Nel 2003, il Comune di Milano gli conferì l’Ambrogino d’Oro, di cui andò – lui refrattario alle onorificenze – molto fiero.

Educò generazioni al buon mangiare e bere e incise a fondo nel costume sociale, convinto che «l’uomo che si dedica alla qualità della vita materiale, nel rispetto dell’altro (il che significa: tutti gli altri hanno diritto di sottrarsi alla sofferenza e cercare il piacere) è un giusto».

Rivendicò la sua anarchia – per lui sinonimo di disobbedienza civile, rifiuto della violenza, assunzione di responsabilità e rispetto dell’altro.

La scomparsa

È mancato il 29 novembre 2004, dopo una lunga, eccezionale carriera, durata quasi cinquant’anni e sempre al vertice.

I comuni di Bergamo, Milano, Castelvetrano (Trapani), Menfi (Agrigento), Fivizzano (Massa Carrara), Sant’Omobono Terme (BG), Zola Predosa (Bologna), gli hanno intitolato una via o una piazza.

Dal 2019, l’Istituto Professionale Alberghiero di Casalecchio di Reno (Bologna), porta nell’intestazione – prima scuola pubblica italiana – il suo nome, così come la Casa del Vendemmiatore di Santa Venerina (Catania).

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SONO ANARCHICO DAL...
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