M’è ricapitata tra le mani una caricatura su Veronelli realizzata da Gianni Brera nel 1986.
Tra di loro amicizia, stima e… “sfottò” (erano avversari a scopone scientifico).
Brera definiva Gino il Brillat-Savarin dei golabeoni lombardi; Veronelli chiamava Brera il maratoneta, per la stupefacente prolificità nello scrivere.
La caricatura è stato un bel pretesto per andarmi a rileggere alcuni dei pezzi – tanti – che Veronelli ha scritto su di lui.
Quel che riproduco è tra i primi, dopo la tragica scomparsa di Brera, nel 1993.
Gian Arturo Rota
LA PRESENZA DI GIANNI
Con Gianni Brera ebbi amicizia lunga.
Dalla fine degli anni cinquanta quando, nella sede de Il Giorno, lo vidi battere al suo portatile.
Certo, il ricordo vago; preciso solo per la mia meraviglia.
Si, quì ricordo bene. Sera tardi – io capitato per caso – lui già celebre ed ammirato. Sì, lo ricordo: gli venne chiesto un pezzo, un pezzullo, due cartelle su qualche fatto, non importante, di sport.
E lui prese a battere, tante battute senza ripensamenti; i tasti cantavano in un silenzio insolito, al giornale, senza fermarsi mai, senza respiro. Due cartelle due. No, 10, 20, millanta – avrebbe detto lui – che tutta notte canta.Ero, letterale, fuori di me per lo stupore; sbalordito, anzi. Gli dissi – al termine (ci fu un termine?) – del mio sconcerto.Mi guardò e sorrideva; Luisin…Avrà pensato – e non aveva torto – ch’io non sarei mai stato – io, con le mie due cartelle risicate – un vero giornalista.
Balbettai: «da ragazzo ero uno scattista, non un maratoneta».
Forse, per una volta, il Giuàn non fu impietoso. Disse nulla.Da allora ci si è visti, così diversi e subito amici. Lui era terragno, un principe della zolla; io avrei voluto esserlo, e forse non mi capiva.
Oggi so di aver trascorso le ore con lui, pressochè sempre con il bicchiere in mano.
Vino rosso vaddassè; i bianchi, per il Giuàn non eran vino.Luigi Veronelli
(da Ex Vinis, n. 38, 1993)