Le domande di questa intervista immaginaria a Veronelli toccano temi a lui tra i più cari.
Le risposte sono realmente sue e si riferiscono a dichiarazioni, orali e scritte, recuperate dal suo archivio. Il collage è stato composto dalla nostra direttrice e da Gian Arturo Rota.
Gino, tu hai cambiato la storia del vino italiano, sei partito dalla terra, hai camminato tra le vigne. Hai ingaggiato battaglie aspre, tutte in aiuto e a difesa dei contadini e della differenziazione; ti sei battuto contro i profeti dell’omologazione, difendendo i piccoli vignaioli, poi divenuti grandi.
R. Il vino è il canto della terra verso il cielo. Questa, questa sola è la ragione per cui scrivo, con autentica rabbia, di questioni “vitivinicole”. Quando iniziai – 1956 – il mio lavoro di ricerca, mi trovai di fronte ad una situazione di grave disagio se non addirittura al disastro. Per aiutare l’economia italiana dissestata da una guerra perduta, gli esperti americani, nell’ambito del piano Marshall, avevano individuato nel frazionamento, il limite peggiore – era il migliore – della nostra agricoltura, e applicato il criterio degli accorpamenti e della razionalizzazione, come nel loro paese. Non avevano però compreso che per l’Italia valeva del tutto l’esatto contrario: l’individuazione – regione per regione, provincia per provincia, comune per comune, luogo via luogo – delle aree più vocate alla coltivazione della vigna e alla produzione del vino, sarebbe stata l’unica, reale forza. L’Italia ha il privilegio di terre, climi, storia e uomini d’ineguagliabile possibilità.
D. E tu hai reagito. Spiegaci come.
R. Maledii, a voce altissima, quell’errore abissale: rischiava di fare piazza pulita delle nostre specificità. Presi asperrima posizione per l’uomo singolo e per la singola terra, e invocai lo studio di leggi sulle denominazioni d’origine (avessero pure una larga base regionale, ma solo per meglio individuare e costruire una vera e propria piramide al cui vertice fossero “personalizzati” i cru migliori). La legge fu realizzata 4 anni dopo, 1963, da politici subordinati agli interessi dei gruppi industriali; furono emessi per i vini più conosciuti disciplinari mostruosi, che consentivano in particolare, sia l’allargamento di ogni singola zona vocata alle località viciniori, sia l’aumento massiccio delle effettive rese di uva per ettaro. Legge che disattese la mia aspettativa, perché era contro i “miei” contadini. Diedi battaglia (non conto le querele) e giurai: la mia Patria – la patria è ciò che si conosce e si capisce – da grande produttrice di vini, diverrà grande produttrice di grandi vini. Ho costretto i vignaioli d’Italia tutta a lavorare bene, meglio; mi hanno seguito, hanno capito che – contro ogni apparenza – il proposito della quantità era contro e non a vantaggio loro. Se oggi, a tanti anni di distanza dai miei primi scritti, tutti ma proprio tutti, anche coloro che un tempo si contrapposero, e con qualche ferocia, alle mie istanze; se oggi tutti, salvo varianti minime, sono sulle mie posizioni, è perché, contro ogni apparenza, sempre, ogni mia scelta è stata dettata dal buon senso.
D. Ti sei sempre battuto contro l’ottusità della burocrazia, hai litigato con quasi tutti i ministri dell’Agricoltura, hai intentato processi, ti sei avvicinato ai centri sociali, sempre pronto “a una nuova idea e a un antico vino” , in nome del motto rabelaisiano “fa ciò che vuoi”, che sta alla radice della tua idea di anarchia. Che cosa significa per te essere anarchico?
R. Sono anarchico dal 1946, da quando assistetti ad un corso di filosofia politica di Benedetto Croce in Milano e lo sentii affermare: «Il genere umano ha cominciato la sua storia con l’anarchia della vita selvaggia, per arrivare, attraverso millenarie esperienza statali, all’Anarchia pura, armonica e razionale».
Anarchia è sinonimo di libertà, è assunzione di responsabilità (contro la follia e l’obnubilamento dei fanatismi), rifiuto della violenza (ogni forma è sbagliata, chi usa violenza non è anarchico), rispetto dell’altro (libero io se lui libero), disobbedienza (è iniquo obbedire a leggi inique). Sono i principi cui ho cercato di attenermi in ogni mia azione e iniziativa. E i buoni vini e cibi – io mi occupo solo di vini e cibi buoni – sono “puri, razionali e armonici”, quindi, per definizione, anarchici.
D. «La causa della tragicità dell’essere umano è la demonizzazione del piacere»: citi spesso questa frase di Marguerite Yourcenar. Foucault sostiene invece che: «Dobbiamo creare nuovi piaceri, allora, forse, seguirà il desiderio…»
R: La Yourcenar aveva pienamente ragione. Io sono un “uomo dato alla gola, e a tutti i piaceri sensuali”. Rivendico assoluto – per l’uomo morale (“l’uomo, la donna, amica mia paritaria”) – il diritto alla gioia; io la cerco – la gioia, dico – in ogni incontro, in ogni gesto, “estetici”, con le cose della quotidianità.
Condivido anche le parole di Foucault, convinto però che il piacere sia una realtà sempre diversa, sempre in divenire, una sommatoria di piaceri, anche complessi. L’importante è essere attenti, svegli, seguire i mutamenti e sapere scegliere in autonomia.
D. Tu hai molto a cuore i giovani, li inciti, cerchi di renderli consapevoli, li “provochi” anche.
R. Si, credo in loro, nel loro entusiasmo, nel loro desiderio di esperimentare, nella loro volontà creativa, e li sostengo. Ti racconto un fatto. Ho partecipato ad una trasmissione (Il Laureato bis, n.d.r.) condotta da Piero Chiambretti, considerato in Italia uno degli anchormen più aggressivi. Gli amici molto mi avevano rimproverato, per aver io accettato: Chiambretti mi avrebbe appunto aggredito quale ubriacone e la platea, di studenti universitari, mi avrebbe sbranato. Perché non accettare? Da anni, contro il parere delle varie Nielsen, sostengo che i giovani sempre più saranno interessati al vino, nella misura in cui il vino si sarà fatto importante, complesso, dialettico, capace di fare ed ascoltare racconti. Ciò, in base ad una semplice considerazione: l’aumento dell’età scolastica. I giovani sono aggrediti da una quantità immensa di informazioni. E’ fatale che si facciano critici, che imparino – attraverso sia delusioni sia soddisfazioni – a distinguere e selezionare. Ciò li porterà a esigere la qualità anche nella vita materiale.
D. Ma cosa hai detto agli studenti universitari in quella trasmissione?
R. “Se siete astemi, siete ancora in tempo per ravvedervi. La storia – se qualche valore conserva – elenca tra gli astemi: Caligola, Maramaldo, Dracula, Hitler, Mao, Khomeini, Gheddafi, Saddam Hussein (l’elenco è ben più lungo). Non sono certo astemi tutti i grandi, ma proprio tutti, in ogni campo, anche nelle scienze e nelle lettere… Platone, Gesù Cristo, Dante Alighieri, Leonardo da Vinci, Galileo Galilei”.
Tuttavia, li ho anche avvertiti: il vino è un problematico compagno, così che va avvicinato, e bevuto, con attenzione, curiosità e, soprattutto, rispetto. Perché il vino è un valore reale che ci dà l’irreale.
Qualche affermazione, qua e là
L’uomo è sempre singolo, come il vino. Ogni bottiglia è diversa dall’altra. Ogni individuo è unico.
E’ la terra la madre di ciascuno di noi, la terra singola, la terra da cui siamo nati, la terra che camminiamo, la terra su cui ci adagiamo, la terra di cui cogliamo fiori, la terra degli olivi e delle vigne, la terra che coltiviamo di fiori, frutta e ortaggi, la terra su cui facciamo raccolta, la terra su cui facciamo l’amore.
Il vino è popolare, quanto meno è divenuto popolare, per i vari mutamenti sociali nel tempo e per l’applicazione di molti giornalisti che hanno compreso essere, soprattutto nel vino, la reale, non retorica, capacità di racconto dei valori di ciascuna delle terre.
Il cibo ha funzioni sociali di eccezionale valore. Eliminata la fame, come dovrebbe essere imperativo categorico per ciascuna persona che ami la libertà, anche il cibo più semplice, preparato con rispetto di ciò che cresce sul territorio, è capace di dare serenità e benessere.
Sono un contadino che, per avventura, ha fatto il giornalista.