… con l’olio siamo al top della frode.
Ricordo, ancora divertito, l’equivoco sul taxi di New York. Christiane, la mia compagna, aveva iniziato un colloquio col taxista, un guatemalteco ormai di lingua e di concetti nord-americani.
Quando seppe ch’io mi interessavo di vino e di olio, fu sorpreso. L’oil, per lui, non poteva essere che petrolio.
Per noi, l’olio è solo d’oliva, dal latino oleum, per diretta derivazione dal greco, a sua volta, immediato, dall’indoeuropeo.… Per noi, l’olio è solo d’oliva, dal latino oleum, per diretta derivazione dal greco, a sua volta, immediato, dall’indoeuropeo. Per il resto l’etimologia è chiara, petra e oleum: olio di pietra.
I nord-americani hanno l’assoluto potere quanto a petrolio. L’hanno avuto anche per l’olio, il nostro, il “non loro” olio.
Per riappropriarcene, ho chiesto alle autorità, di cancellare le tante denominazioni concesse – olio di oliva vergine extra, olio di oliva raffinato, olio di oliva, olio di sansa di oliva greggio, olio di sansa di oliva raffinato, olio di sansa di oliva – e stabilire il solo nome, come vogliono storia e natura, di olio di oliva.
Fatto secondo natura: si raccolgono le olive a maturazione, si pongono nel frantoio e si frangono.
Meglio ancora secondo natura e Veronelli (c’entra anche la storia, con Catone il Censore, Varrone e Columella): raccolta a mano delle olive appena invaiate – al momento del viraggio del colore – olivo per olivo, secondo cùltivar (cùltivar – femminile: la cùltivar – è il nome con cui si indica la varietà della pianta); si provvede poi alla cosiddetta denocciolatura e si eliminano i noccioli; si pone la polpa, così ottenuta, nel frantoio e si frange entro 4 ore.
Una scelta elettiva e filosofica, suggerita agli olivicoltori per differenziarsi e differenziare i propri oli dall’attuale crisi d’identità in cui si trovano. Ciascuna azienda sarà così in grado di dare ai consumatori, la tracciabilità di ogni singola bottiglia, con un codice che parte dall’unità “uliveto di appartenenza”.
Proprio domenica scorsa, 8 giugno, ho assaggiato al mercatino di Dolceacqua – pochi chilometri da Francia, provincia di Imperia – alcuni oli di vari olivicoltori, prodotti secondo natura.
La zona ha fama dal Rossese, vino inquieto e mantico per i suoi profumi di rosa. Questi profumi – rosa canina, di fratta, di macchia, selvatica e silvestre – si ritrovano – ad un attento ascolto, un lampo – anche negli oli.
Nulla può togliermi dalla mente: la risoluzione onesta dei problemi dell’olio d’oliva (sono quasi un milione in Italia gli olivicoltori che non raccolgono le proprie drupe per l’indecenza della remunerazione proposta dai frantoi) e l’approvazione delle De.Co. – non solo per l’olio, per tutti i prodotti agricoli e artigianali – darebbero il benessere agli agricoltori, agli artigiani e ai consumatori.