Quando decisi, anni 50, di fare il giornalista-contadino, scelsi, come primo argomento, il vino.
Sapevo che mi avrebbe dato – tra i prodotti della terra tutta – il maggior “ascolto”. Fu così.
Nessun altra creatura terragna ha, tanto forte in sè, la capacità d’intrigarti, di abbracciarti, di armonizzare e qualche volta di mettere in contesa i racconti, tuo e suo.
Quattro/cinque anni fa – vinta, stravinta, la battaglia per i grandi vini italiani – ho deciso di occuparmi dell’olio di oliva. Subito dopo il vino, la più grande delle nostre ricchezze agricole.
Ricchezze? La trasmissione di Report – Rai 3, domenica 10 marzo, ore 23,15 – ha dimostrato quanto si sia voluto sbagliare nella produzione oleicola.
Ho scritto centinaia di lettere ai responsabili italiani, con una chiara affermazione:
«Il mercato dell’olio italiano è un merdaio».
Non correvo alcun pericolo di denuncia perchè ogni scena di quel filmato ufficiale, ne era prova inconfutabile.
Non ricevetti, infatti, una – che è una sola – querela…
Gli oli d’oliva sono prodotti da varie aziende. Ciascuno porta una fascetta tricolore che lo garantisce; è stato ottenuto dagli imprenditori secondo il Disciplinare di Veronelli (a onor del vero, dovrei scrivere – letto e straletto – di Columella, autore latino di 2000 anni fa). Disciplinare di Veronelli:
- raccolta a mano delle olive appena invaiate e secondo cultivar (cultivar è il corrispondente del vitigno per l’uva);
- denocciolatura;
- frangitura della sola polpa entro 4/5 ore dalla raccolta.
La verifica di questo mio disciplinare può essere fatta, a posteriori, da una struttura fantascientifica ma seria, in grado di accertare sin nei minimi particolari, ogni momento della produzione, attraverso il DNA degli olivi e di quello dell’olio ottenuto. Il che mette fuori gioco tutti i prodotti delle multinazionali, che di olivi non ne possiedono uno solo.
Un mutamento “storico”. Ancor più rapido di quanto non sia avvenuto per i vini.
Luigi Veronelli