Nel 1992, il mensile Pubblico Esercizio pubblica, nel mese di marzo, uno speciale sul Vinitaly, con un tema riservato alle carte dei vini nei ristoranti.
Stefania Vinciguerra, autrice del servizio, dedica un box di approfondimento con l’opinione di Gino Veronelli sullo status delle carte dei vini dei ristoranti italiani di allora (quelli, forse, gli ultimi anni – prima dell’avvento delle future crisi economico/finanziarie – di reale investimento sul vino nel ristorante e di consumo/commercio fluidi; anni ancora febbrili per ricerca, assaggi, volontà di scoperta). Ecco le domande.
Gian Arturo Rota
D.: Come giudichi le carte dei vini dei ristoranti italiani
R. L’attenzione e la ricerca, nei vini, dei patron di ristorante, sono aumentate e migliorate di molto. Parecchi di loro hanno compreso: 1, che chi fa (buona) ristorazione non può non tener conto del (buon) vino; 2, che il mercato del vino di qualità è in costante crescita, così da determinare appunto – in chi lavora serio – attenzione e ricerca; 3, che il consumatore stesso s’interessa, molto più che in passato, anche della scelta del vino nell’economia del proprio pasto.
Ci sono tuttavia errori – dico in generale – nelle carte sottopostemi: 1, eccessiva presenza di più vini d’un solo produttore (non tutti, anche quelli dei migliori, possono adattarsi al tipo di cucina); b, abitudine di puntare soprattutto, quando non esclusivamente, sui nomi di gran richiamo, senza intervento critico alcuno (aumento molto la mia votazione quando noto l’intelligente individuazione del piccolo, sconosciuto, produttore, locale e no); c, esterofilia (Francia in particolare) che toglie spazio e dignità ai nostri cru.
D. Qual è, secondo te, la migliore?
R. Tre, per tre, la volontà del re: Pinchiorri di Firenze, Guido da Costigliole (d’Asti) e La pergola di Vezza d’Alba.
D. Che consigli daresti ad un ristoratore che volesse approntare una carta dei vini?
R. La risposta è implicita nella prima.
D. Qual è la situazione all’estero, sia nei ristoranti stranieri che in quelli italiani?
R. Peggiore, peggiore chez nous, ma si, anche in Francia.