Un caro amico omeopata tedesco, Horst Engelhardt (appassionatissimo di vini e dell’Italia, conosciuto a San Gimignano, in luogo non casuale per bellezza, arte e vini), mi ha inviato il testo di un’intervista a Gino Veronelli, redatta dal giornalista/regista Christian Rischert durante un suo viaggio in Italia negli anni novanta.
Intervista – che mi mancava e che va ad arricchire il materiale dell’archivio (un lavoro, a onor del vero, senza soluzione di continuità) – poi inclusa nel libro The wine makers, pubblicato in Germania nel 1994.
Gino è l’unico giornalista italiano, altre interviste sono state fatte a produttori.
Quella a lui è breve, ma densa. Nelle sei domande Rischert riesce, a mio avviso, in due obiettivi:
1, far emergere alcuni caposaldi del pensiero veronelliano, e l’importanza e la forza da vero e proprio opinion leader carismatico;
2, andar dritto, con la precisione dell’uomo germanico, sui temi concreti che accompagnano il vino, e nella vita e nel mercato, rimarcando tuttavia quanto il vino porti con sè un insieme inscindibile di “valori” (filosofico, sociale, conviviale, economico).
Gian Arturo Rota
D. Il tuo pensiero, la tua opinione conta molto in Italia. Cosa significa per te aver tale credito?
R. Ne ho molto piacere. Tale credito mi deriva da anni e anni di lavoro che io ho svolto con grande passione.
Amo il mio lavoro.
Nell’assaggiare un piatto ben eseguito, nel bere un vino che mi racconta la sua storia, sono solo me stesso.
Credo stia qui la mia forza.
D. In Italia, il vino era considerato alimento un tempo. Oggi, vi sono vini che si possono avvicinare ai beni di lusso.
Cosa pensi circa questo sovvertimento?
R. E’ il mio trionfo.
Sono contento del declino del concetto di vino come alimento. Non lo è; meglio, lo è anche, ma primariamente è un compagno con cui vivere, con cui instaurare un rapporto, da cui avere piacere.
Ogni vino è un individuo, con tutta la sua singolarità.
Lo so, sono anche un po’ retorico, ma so anche bene che incontrare un vino, un grande vino, mi dà una grande emozione, ancor più se lo bevo con intelligenza.
D. Cosa significa bere con intelligenza?
R. Significa incontrare un vino per “tirar fuori”, da esso, la sua intera personalità.
Per prima cosa ne guardi il colore, ogni vino ha specifico colore, specifica lucentezza; poi, lo porti al naso, per coglierne tutte le nuances; infine, in bocca, così da entrare in comunione con esso.
Se tu avvicini al vino con la voglia di ascoltarlo, lui ha qualcosa da dirti. E più il vino è importante più lungo e pregnante il suo racconto.
Per concludere, bere con intelligenza vuol dire avere l’abilità di cogliere il messaggio che il vino porta con sè.
D. Quali criteri suggerisci ai consumatori per giudicare un vino?
R. In primo luogo di essere attenti, critici.
Il vino va conosciuto e (ri)conosciuto. Bisogna allenarsi a farlo.
Poi, assaggiare e memorizzare bene il suo messaggio (colore/profumo/gusto).
Soprattutto: avvicinarsi al vino con amore, curiosità, interesse.
D. Ma i buoni vini sono cari!
R. Io dico sempre ai produttori: lavorate di più, producete di meno, ma vendete al giusto prezzo, ovvero a un prezzo remunerativo. Perchè i vostri prodotti vi devono consentire di lavorare e vivere meglio nel futuro.
Per produrre poco, è necessario curare al meglio le vigne, selezionare le uve migliori, non stressare le piante, rinunciare alla quantità e ai vini non vocati per la qualità.
D. Non pensi che la ricerca a tutti i costi di buoni cibi e vini sia portata un po’ all’eccesso oggi?
Più un atteggiamento che uno stile?
R. No, non proprio. Penso che cibi e vini buoni rendano l’uomo più contento e la vita più sorridente.
Quanto più cerchi, tanto più prezioso l’esito.
Sono dell’opinione che ciascuno di noi deve vivere con maggiore consapevolezza i piaceri e le gioie della vita.
I cibi e i vini buoni ci possono ben aiutare.