Libertà e creatività, pur nel proposito dell’equilibrio, in ciascun piatto, tra naturalezza e completezza; massima possibile semplificazione delle ricette sia di cucina classica sia di cucina regionale; rigorosa consequenzialità d’ogni atto del cucinare, con l’esclusione d’ogni possibile “iactus” (salto); assoluto rispetto, ricetta per ricetta, degli atti stessi del cucinare. Considero, ad esempio, irrazionale sino all’idiozia, l’eliminazione dei cosiddetti fondi di cottura che costituiscono, e sono, il condimento naturale di un cibo; nessuna aggiunta se non necessaria o meditata, di altri liquidi (olio d’oliva, acqua, latte, vino, acqueviti, panna…); assoluta freschezza e sanità di ciascun ingrediente: un piatto è come una catena non più forte del suo anello più debole; elementarità delle cotture ciascuna nel suo tipo o categoria, così da conservare al massimo i principi attivi e i sapori e i colori originari. Ogni piatto, infine, soddisfi, oltre che il senso del gusto, quello della vista, con la rigorosa scanditura, ogni volta ch’è possibile, dei singoli ingredienti, a formare dei segni, disegni, provocanti anche per i colori. Sottolineo, punto dolens di quanto scritto, l’estrema necessità, per la corretta esecuzione di una tale cucina, da parte degli addetti chef, sia responsabili della cucina tutta sia d’una sola partita, della massima preparazione e professionalità.