Cara famiglia Veronelli,
La prima volta che ho parlato con Veronelli, nel 2001, un timore reverenziale mi impediva di comprendere in pieno quanto quel momento avrebbe significato per il nostro Raboso del Piave.
Gino aveva assaggiato il nostro Raboso e “colpito dalla terza pietra pirobola del suo lungo percorso” gli dedicò il 14 aprile 2002 un articolo sul Corriere della Sera.
Non dimenticherò mai l’emozione provata quella domenica durante il Vinitaly: questo momento ha segnato una pietra miliare del nostro percorso e ci ha dato il coraggio di continuare su questa strada tutta in salita.
Qualche temerario in precedenza aveva affrontato l’argomento, ma solamente dopo questo articolo molti altri si sono interessati a questo vitigno a lungo dimenticato.
La mia testimonianza non è che una semplice voce nell’ampio coro di coloro che hanno incontrato Gino come uomo e come eno-gastronomo e che dalla sua esperienza e dal suo amore per la Terra hanno tratto insegnamenti d’inestimabile valore, ma ora più che mai è importante non dimenticare il suo ruolo nella crescita qualitativa dei vini d’Italia e non solo.
Ho avuto l’onore di incontrarlo in più occasioni, ma mi piace ricordarlo nell’Aula Magna della Scuola enologica di Conegliano, la più antica d’Italia e forse del mondo, mentre con emozione coinvolgeva i tanti ragazzi intervenuti, che lo ascoltavano in rispettoso silenzio.
Quanti futuri vignaioli sono usciti da quell’Aula con un po’ di Gino nel cuore?
Ho un solo rimpianto: non aver potuto passeggiare con Gino nella mia vigna, come ci aveva promesso…
Cristina e Giorgio Cecchetto, vignaioli in Tezze di Piave (TV)