Cosa mi spinge in questo viaggio? L’amore per il mondo contadino.
Il rispetto di sé e degli altri, l’impegno costante, la pazienza dei contadini, hanno radici millenarie. Camminare tra loro e con loro e per loro è privilegio immenso.
L’operaio, il borghese ti vedono e smettonsi di lavorare; è ambizione, è orgoglio dei contadini farsi sorprendere sul lavoro.
Il contadino ha un rapporto felice con la vite. Ogni gesto della mano, anche impietoso, come nella potatura, muta la pianta, la fa nuova e più ricca.
Se tu non li guardi, se non s’accorgono di essere guardati, i vignaioli parlano con le loro viti; hanno un dialogo millenario e lo riprendono ogni giorno.
I contadini, chi li conosce? In un’Italia operistico-borghese, i contadini – dico di quelli veri, autonomi – sono “gli unici”.
Sopravvissuti d’un grande genocidio non hanno tradito e non s’arrendono.
Le leggi sono state fatte contro i protagonisti. Scrive bene Nuto Revelli: “è il controllo delle masse contadine la grande risorsa della restaurazione.”
Contadino, nato a sostenere la fatica. Dura tutto l’anno tanta pena a lavorare d’inverno, d’estate, tanti sudori, tanti caldi, tanti freddi.
Faticante sinonimo di contadino. La fatica è la sua misura quotidiana. Pure resiste, non s’arrende, non ha tradito.
Il contadino è splendido individuo. Anche i suoi gesti, sia pure ripetuti sull’esperienza dei secoli, sempre sono individuali, nuovi e senza infingimenti.
Il suo rapporto non è più di sudditanza, o non lo sarà più; il suo modo d’essere superbamente anarchico: dietro di lui la sua animalità, davanti la sua umanità.
Per me, che vengo di città e porto addosso gli affari e gli intrallazzi, è gran gioia incontrarli, vederne l’opera e sentirne i racconti, così che mi vergogno di usar la penna e non anche le mani, perché sappi, è onesto solo chi sta sulla terra e la vive e ne vive.
(da Viaggio Sentimentale nell’Italia dei Vini, RAI, 1980)