Di Agostino Palomba
Inutile perder tempo alla ricerca dell’aggettivo “giusto”.
Luigi Veronelli è… Luigi Veronelli, per gli amici Gino, per tutti un maestro, a cui dire “grazie” per ciò che ha fatto.
Mille battaglie per far emergere i vini italiani sulla scena internazionale: finalmente il suo sogno si avvera.
E mille provocazioni, ma a fin di bene. “Cucina & Vini” lo ha intervistato, con assoluto piacere.
C&V. Veronelli, lei ha lavorato sodo per far emergere sulla scena internazionale i vini d’Italia: finalmente il suo sogno si è avverato?
Veronelli. Sì, pressoché del tutto. Nel 1956 Renè Engel, vignaiolo di Borgogna, disse a un giovane giornalista (ego me): “Voi avete uve d’oro e fate vini d’argento; noi uve d’argento e vini d’oro”. Era vero. Giurai: la mia Patria (la patria è ciò che si conosce e si capisce), da grande produttrice di vini, diverrà grande produttrice di grandi vini.
Ho camminato le terre e le vigne, assaggiato e insultato (non conto le querele). Ne ho inventate di tutte, ma proprio tutte. Ho costretto – sì, costretto – i vignaioli a lavorare bene, più bene, ancora più bene.
Oggi siamo superiori ai francesi, quanto ai vini rossi, per qualità e diversità di proposte. Per i vini bianchi, dobbiamo ancora lavorare. Champagne? I nostri spumantisti dovranno impegnarsi e selezionare allo spasimo; c’è di mezzo la vocazione terragna.
C&V. Tra tante battaglie, l’ultima per una legge sulle “Denominazioni comunali”, che difenda i valori e la territorialità dei prodotti del comparto agricolo. A che punto siamo e quali sono le sue speranze
Veronelli. Dedico il massimo impegno alla realizzazione delle Denominazioni Comunali. Ho scritto nell’aprile 1998, a Riccardo Illy, l’ho trovato d’accordo. Ha convocato un primo Convegno il 13 febbraio; tutti i sindaci intervenuti, d’accordo; entro fine maggio l’Anci (Associazione nazionale dei Comuni d’Italia) presenterà le istanze al Parlamento (con successo, c’è da credere, per la trasversalità dei sindaci).
Lo voglio per la necessaria difesa del nostro patrimonio d’eccellenza – frutti, verdure, pascoli, carne, latte, olio d’oliva, piatti, formaggi, salumi, dolci, conserve, quant’altro – proprio con le Denominazioni Comunali.
Ho escluso il vino data la legge vigente (anche se alcuni Comuni, assenti per disattenzione, potrebbero esserne interessati).
Do grande pressione alla mia proposta. Entro fine anno l’Italia deve presentare l’elenco dei suoi prodotti agricoli, naturali e manufatti della tradizione, così che siano esclusi dalle folli, iugulatorie, devastanti, addirittura annullanti, normative europee. Il “competente” ministero delle Politiche Agricole – dati gli indefinibili funzionari – non ha reale possibilità di riuscirvi. Infatti sino ad oggi, mi risultano presentati 61 prodotti, contro gli oltre 500 dei francesi (meno ricchi – contro ogni credenza – di noi). Possiamo solo sperare nei Comuni.
C&V. Il barometro dell’Italia vitivinicola volge verso il bello o c’è qualche nuvola all’orizzonte
Veronelli. Se si lavora – lo ripeterò all’infinito – bene, nessuna nuvola. Il mercato giovane è sempre più rivolto alla reale qualità.
C&V. Come giudica le ultime due vendemmie del ’97 e del ’98?
Veronelli. Dovremmo esaminare luogo, via, luogo. In generale le due vendemmie sono state ottime; la 1998, per molti cru addirittura eccellente.
C&V. Arriva la bella stagione e con essa la voglia di “bianchi”: può proporre qualcosa ai nostri lettori, magari con un buon rapporto qualità-prezzo?
Veronelli. Non amo far nomi per non apparire un pubblicitario. Sì, dare un consiglio. Vi sono ottime guide (va da sè che io considero migliore la mia), con le indicazioni puntuali e attendibili di qualità e prezzi.
C&V. Spumanti, vini bianchi e vini rossi. A volte, sulle etichette, si suggeriscono temperature di servizio non proprio ottimali. Sgombriamo il campo da equivoci: a quale temperatura vanno serviti?
Veronelli. Quante pagine mi concede “Cucina & Vini” per la risposta? Ogni vino ha una sua ideale temperatura di servizio, condizionata dal piatto e da altri elementi (ad esempio la condizione del tempo).
In linea molto ma molto generale: spumanti e vini bianchi tra gli 8 e i 12 gradi; vini rossi tra i 14 e i 16 gradi. Per anni ho consigliato, per alcuni vini, i 18°. Sbagliavo.
C&V. Quali consigli può dare ai lettori di “Cucina & Vini” per conservare correttamente il vino?
Veronelli. Non facile: una cantina rivolta a nord, fresca tutto l’anno e in penombra, non troppo secca, lontana dagli odori e dai rumori.
C&V. In questi ultimi anni, qual è stata la regione italiana che più delle altre l’ha stupita sul versante del vino?
Veronelli. Dovrò giocarle a pin pin. Sono molte le regioni in emozionante emergenza. Tutto il Meridione, ad esempio. Solo per fare nomi dico la Campania e come comune Sorbo Serpico, in provincia di Avellino.
C&V. Uso del legno: spesso corretto, a volte smodato. Quali sono, in sintesi, le regole fondamentali che deve seguire il produttore?
Veronelli. L’uso del legno è consigliabile per le uve bianche e rosse capaci di dare vini molto importanti.
Nella maggioranza dei casi legno piccolo, fusti da 225/230 litri, che i francesi chiamano barriques ed io carati.
Quando all’assaggio, se il legno “si stacca” (si avverte, appunto, il sapore ligneo), allora il vignaiolo l’ha usato male.
Un vino nel legno deve solo farsi più complesso e completo.
C&V. Cantine sociali, una realtà a due facce: da una parte si resta “incollati” alla quantità, dall’altra si punta decisi alla qualità. Ci sono, a suo avviso, i presupposti per un’ulteriore crescita del comparto a breve termine?
Veronelli. Ci sono, eccome. Il mercato giovane – ripeto – esige la qualità anche dei vini più economici.
Se non vogliono avere vino invenduto, le Cantine sociali dovranno lavorare bene ed operare selezioni. I giovani, anche dal vino, vogliono avere confronti e racconti dialettici. Non avranno alcuno spazio i vini facili negli anni 2000.
C&V. Che giudizio si sente di dare al nostro legislatore e quali sono le lacune che andrebbero colmate?
Veronelli. Ahinoi i legislatori – sia nazionali, sia europei – hanno legiferato assai male.
Faccio due soli esempi. Primo: è permesso l’arricchimento dei vini con zucchero o con mosto concentrato rettificato. Dovrebbe essere proibito. Secondo: il grado minimo naturale – fissato dalla Comunità Europea in 5,5 – è un vero e proprio assurdo. Dovrebbe essere almeno 10.
C&V. L’Italia sa promuovere il prodotto vino o c’è ancora un divario da colmare rispetto ad altri Paesi?
Veronelli. C’è un baratro. Primi colpevoli le autorità. Ha visto quel che è successo con il primo ministro dell’Iran? Il nostro Presidente della Repubblica ha accettato che nel pranzo ufficiale non fosse servito vino per ragioni “religiose”. Giorni dopo, il Presidente della Repubblica francese ha rifiutato l’imposizione, con giusto sdegno. Ne hanno “parlato” le testate dei quotidiani in ogni luogo del mondo.
Conclusione (nell’immaginario dei lettori): il vino francese è più serio e migliore.
C&V. Qual è il suo piatto preferito e con quale vino lo accompagna?
Veronelli. Non ho piatti preferiti. In ciascuno, sempre prediletto, voglio la perfezione. E l’arte di accompagnare i vini e i cibi ha infinite possibilità.
Ho scritto un libro di chiaro titolo “I matrimoni d’Amore”. Ho insistito molto sul concetto di poligamia. Un vino fa l’amore con molti cibi. Un cibo con molti vini.
C&V. Cucina tradizionale, cucina internazionale, cucina cosiddetta “fusion”. Lei da che parte sta?
Veronelli. Si sa, sono molto esigente. Da ogni cuoco (ma, molte volte si tratta di una cuoca), voglio “la personalità”. Qualsiasi sia stato lo studio, la tradizione, la vocazione. Per quanto alta la fantasia e la sfida, ogni piatto deve sottolineare le individuali, intime capacità. Un po’ come nell’arte e nella musica.
I grandi sono riconoscibili (potrei fare esempi all’infinito: Dante, Joyce, Raffaello, Van Gogh, Vivaldi, Bèla Bartok, continua continua). Il riconoscimento è la prima, fondamentale virtù.