È del 1996, rilasciata a Gianni Salvaterra (giornalista, autore, grafico, organizzatore di eventi, insomma un creativo…) e pubblicata sulla rivista americana Index, importante punto di riferimento americano per la cultura e l’arte, fondata dagli artisti Peter Hally e Bob Nikas nel 1996 e durata sino al 2006.
“Sferzanti” le domande di Gianni, puntuali, mai banali, le risposte di Veronelli.
Gian Arturo Rota
Gianni Salvaterra. Bere un grande Barolo suscita profonde sensazioni. Di fronte a quale pittore potresti provare le stesse emozioni? E con un grande Chianti?
Veronelli. Massì, questa tua provocazione mi piace millanta volte millanta.
Così come ho deciso di non scrivere più esami organolettici – per quanto lunghi e complessi, sempre ripetitivi e in qualche misura “omologanti” – e di preferire l’accostamento ad una poesia, ad una musica, ad un fiore intravisto, ad una farfalla che svolazza, massì, pensiamo pure ai grandi artisti, pittori in primis.
Dovremo cercare d’essere seri, di non andare giù alla grossa, di non legiferare a vanvera.
Così come affermo la poligamia nell’accostamento di cibi e di vini (un cibo si accoppia, a volte in matrimonio d’amore, a moltissimi vini; e un vino a moltissimi cibi), la affermo anche per la possibilità di riferimento a poesia, musica, fiori, farfalle e artisti.
Non un Barolo, bensì il Barolo cru Brunate 1990 di Giuseppe Rinaldi (Brunate è un cru, in comune di Barolo).
Lo assaggio e penso moderno, con misura: Carlo Carrà. E proprio per voler essere puntuale all’estremo, ecco che lento si precisa il ricordo di L’attesa (guarda caso dipinto, nell’anno della mia nascita, 1926), fondamentale per la scansione degli spazi e l’essenzialità dei volumi raggiunta.
Un altro vino. I Sodi di San Niccolò di Castellina in Chianti. Grandissimo, Chianti non è. Il suo produttore – un giornalista, in Italia, celeberrimo – Paolo Panerai, lo produce con sole uve sangiovese (è quindi fuori disciplinare). I Sodi di San Niccolò 1985, assaggiato, mi porta in bilico tra un’incisione della maniera bionda – linea pura, tratteggio leggero e ricerca della luce –, Il fagiano, 1936, di Luigi Bartolini (fu con Morandi il migliore degli incisori italiani) ed un suo dipinto – assai più tardi, ultimi anni 50 – dello stesso soggetto, a pennellate grasse e larghe, di caldo colore e d’una icastica compostezza.
G.S. Se San Pietro beve certamente Vin Santo, cosa potrebbe bere Satana?
V. Satana, come sempre, s’avviluppa e gode di sé; beve le Notti rosse del Capo Diavolo di Gino Carmignani, detto Fuso, vignaiolo in Montecarlo di Lucca.
G.S. Hai detto che i mostri della storia erano astemi e i grandi, invece, bevitori. Me lo dimostri?
V. Dovrei fare elenchi all’infinito. Le cronache accertano essere stati astemi: Maramaldo, Caligola, Dracula, Hitler, Gheddafi, Mao, Khomeini, Saddam Hussein. Ma l’elenco è assai lungo: mettici dentro tutti gli infami.
Non sono certo astemi, tutti i grandi, ma proprio tutti, in ogni campo, anche nelle scienze e nelle lettere… basti pensare a Platone, il Cristo, Leonardo da Vinci, Galileo Galilei. Platone asserisce: «Il vino riempie di coraggio il cuore dell’uomo, e colui che più copiosamente avrà bevuto, di tante maggiori speranze sarà colmo, più animosamente sentirà di sé e sarà capace e libero».
Cristo era un buon bevitore, così che fece del sangue sé. Non passano dieci pagine dei Codici di Leonardo in cui non vi si parli, sempre in termini d’affezione, di vino.
C’è infine una lettera di Galilei, che ringrazia l’amico vignaiuolo che gli ha donato una damigiana di vino, pressappoco così: «Io ti sono grato per il vino che mi hai donato, da che era buono, ma ancor di più perché dovevo risolvere un problema, e l’ho risolto subito che l’ho bevuto».
G.S. Piscia di gatto nel Sauvignon, sperma nello Champagne, uomori vaginali nel Greco di Tufo, ma la tua è una cantina o un’alcova molto frequentata?
V. Tra cantina e alcova le affinità son millanta che tutta notte canta. Tuttavia… tuttavia non ti stupire per quegli infinitesimi sentori, proprio perché infinitesimi al positivo e al negativo.
Uno spettrografo marchingegno d’America ha stabilito, senza ombra di dubbio – faccio esempio – che il sentore di sperma, altro non è, se non la somma dei sentori di fiori di castagno e di fiori di tiglio.
G.S. Si dice che Hemingway, a Verona, consumasse ogni sera una boccetta d’inchiostro e un fiasco di Valpolicella; Pompidou una scatola di preservativi e una bottiglia di Bordeaux; Clinton una biro e una pinta di Coca Cola. E Veronelli?
V. Veronelli ha avuto – così come, scommetterei Hemingway, Pompidoux e Clinton – prestazioni differenti secondo età e occasioni (“qualità” delle donne e dei vini). Non do numeri. I miei compagni libertari mi chiamavano Macknò. Di lui dovrò pur scrivere la storia: combattè, in nome d’anarchia, tra il 1917 e il 1921, sia i rossi, sia i bianchi, nelle terre degli Atamani, tra Russia, Ukfraina e Polonia. Nei suoi carri erano mitragliatrici, belle ragazze e grandi bottiglie di vino rosso. La più bella e colta delle ragazze, al termine di amore, gli avrebbe dovuto raccontare i versi – non ancora scritti – di Eugenio Montale: « Come tutto si fa strano e difficile, / come tutto è impossibile, tu dici. / La tua vita è quaggiù dove rimbombano / le ruote dei carriaggi senza posa / e nulla torna se non forse in questi / disguidi del possibile».
G.S. La rivoluzione francese ha portato lo Champagne e i “restaurant” in tutto il mondo; il Rinascimento italiano ha esportato pizza e spaghetti, la Seconda guerra mondiale ha portato hot dog e Coca Cola…
Ma sono solo le guerre a cambiare la tavola?
V. La tavola cambia al meglio con le acquisizioni civili, al peggio con le guerre. Gli uomini vanno classificati, non secondo i criteri della pelle, o le etnie e le religioni, bensì sulla capacità di far poesia, d’inventare buoni cibi e di produrre grandi vini.
G.S. Come te lo immagini un ristorante progettato da Le Corbusier?
V. Non riesco ad immaginarlo. Nella progettazione di un ristorante, il concavo e il convesso – quantomeno nella o nelle sale – sono imperativi categorici.
G.S. I bambini bevono Moscato, i giovani Prosecco, le donne Brachetto, i maturi Barolo e Bordeaux. Ai gay cosa consigli?
V. Dimentichi ch’io sono un anarca. Nella mani degli dei, la la sola infanzia; amo quindi pensare a scelte individuali non appena raggiunta l’età della ragione (oh, le barriere dell’irrazionale). Non mi meraviglierei quindi affatto, di bere, in compagnia dei gay, il più corposo e strutturato dei Brunello di Montalcino.
G.S. Nei film si beve poco e spesso si sbaglia (pensa a James Bond). Hai qualche buon ricordo in Technicolor?
V. Ricordo un dialogo enoicamente delizioso, tra Glenda Jackson e Walter Matthau. Titolo del film (in italiano): Sotto il divano.
G.S. Botti di legno, tappi di sughero antigienici, cantine umide. Il vino sembra acquistare valore con l’invecchiamento proprio come le opere d’arte. Ma quelle sono frutto della creatività umana, mentre il vino nasce tra campagne, azienda e artigianato, in un processo sempre più tecnologico. Ma te le immagini se la Ford prima di vendere le sue auto colorate e moderne le facesse invecchiare un paio d’anni in magazzino? O se lo stesso facesse Benetton con le sue magliette?
V. Non mescolare il sacro ed il profano. Le auto della Ford e le magliette di Benetton sono opera dell’uomo; il vino è una creatura che richiede la sola assistenza d’una levatrice solitamente maschio, il vignaiolo.
G.S. Da Plinio il Vecchio, 60 a.c. (In vino veritas) attraverso Lord Byron (1788-1824), Edward Fitzgerald (1809-1883), D.H. Lawrence (1885-1930), Gabriele d’Annunzio, quale altro scrittore/poeta ammiri che abbia avuto influenze dal nettare di Bacco, e perché?
V. Gianni, m’è così difficile risponderti: tutti.
Non v’è scrittore – quantomeno tra quelli c’hanno vissuto, nei paesi civili per il vino – che non «abbia avuto influenze dal nettare di Bacco». Ti citerò, perché lo sto leggendo, Gianni Brera, di cui l’editore Baldini & Castoldi, pubblica l’opera omnia, riscoprendone – sul piano letterario e non sportivo – l’eccellenza. L’ultima frase?: «Colui che beve vino e lo apprezza è come chi, sentendo musica, vede passare gli angeli e li distingue».
G.S. Pensi che Goethe e Hans Barth fossero gli antesignani delle guide enogastronomiche?
V. Si. Le guide d’oggidì – fuor che le mie – hanno il torto gravissimo d’aver tenuto fuori pagina la cultura e la poesia.
G.S. Come ti poni rispetto al mestiere di Monselet e del barone di Brisse? Pensi che il mestiere di critico gastronomico attrae per la sua mancanza di esatti riferimenti culturali ovvero quelli che condizionano un esperto letterario o musicale? O perché il piacere della tavola è universalmente piacevole?
V. Nessuna risposta. Sono del tutto ignorante quanto a Monselet e al barone di Brisse.
G.S. Le proibizioni di Veronelli: il limone sul pesce? Un vino con una certa pietanza? Una combinazione alimentare?
V. Il mio libro migliore e meno conosciuto s’intitola “Vietato Vietare”. Personalmente morirei di fame se mi fossero offerte ostriche – Armoricaines, Marennes, Belon, Natives, Coste Rosse, Tarantine, Colchester, continua continua – con un infinitesimo di goccia di limone.
G.S. La cucina macrobiotica: una masturbazione mentale o una reale necessità alimentare? E il vino?
V. Masturbazione mentale. Che c’entra il vino?
G.S. Forse ancor più della qualità dei vini, a distinguere, al momento di bere, la tavola dei potenti da quella della gente qualunque, erano quelli che, in linguaggio enologico, si chiamano “vasi vinari”, soprattutto i bicchieri.
Sei d’accordo? Cosa è cambiato oggi?
V. Ahinoi, dividono ancora. Seconda parte della domanda: penso che il cambiamento ci sia stato, sia effettivo e senza via di ritorno. In ogni pranzo o in ogni cena, il giudizio su ciò che si beve comprende ancora la qualità e la forma del bicchiere. Direi che gli si possa attribuire il 15% del giudizio, riservando il resto, 5% al modo del servizio, 80% a vista (colore e trasparenza), naso e palato.
G.S. Il pensiero gastronomico trascendentale di Brillat-Savarin ha realmente sconvolto il mondo universale della tavola?
V. “Il Pensiero” s’intitolava la rivista filosofica, fondata da Giovanni Emanuele Bariè e pubblicata da Veronelli Editore. Si tratta del primo dei miei “titoli”, 1956. Il “Concetto trascendentale” – stesso autore, stesso editore – è il quarto, 1957.
“La filosofia del gusto” di Brillat-Savarin, 1825, è una serie di gradevoli conversazioni sul tema; segue e non anticipa la petite révolution francaise.
G.S. Fast-food-hamburger-coca cola sono i modelli di alimentazione più popolari d’America, Ma i migliaia di libri stampati sulla buona tavola, le guide gastronomiche, i corsi di cucina televisivi, le scuole di cucina dove sono finiti?
V. Sono nel sommerso. Il 2000 – contro ogni presunzione e previsione – vedrà riemergere la civiltà del piacere e scomparire, così come la miseria, i fast-food, hamburger e coca cola.
G.S. Boudrillard sostiene che a New York chi mangia da solo è un uomo morto. Ma oggi esiste ancora una civiltà della tavola?
V. Vedi sopra.